Rivoluzione culturale
Sono buono e caro, ma certa gente andrebbe davvero mandata a zappare nei campi. Leggete e poi ditemi se in fondo in fondo non lo pensate anche voi
È successo l'estate scorsa, ma ancora oggi mi indigno al pensiero. Sono rimasto basito passando davanti a un'edicola e vedendo la copertina di un noto tettimanale (il termine non è un refuso, ma riflette le due principali caratteristiche della pubblicazione, ovvero la sua periodicità e la sua propensione a fotografare in prima pagina gli apparati da allattamento).
I giornalisti pubblicano una articolessa così strillata in copertina: "connessi! Non si staccano dalla rete neppure in estate, grazie a smartphone e palmari". E giù un fiume di inchiostro per stigmatizzare quelli, come noi, che danno una occhiata alla posta elettronica anche dal mare o dalla montagna. Roba da pazzi. Io nel mio piccolo farei semmai un articolo per stigmatizzare quelli che guardano la televisione anche d'estate (fa già schifo in inverno, figuriamoci) e quelli che passano dall'ufficio postale per chiedere l'inoltro della posta cartacea per un mese o giù di lì all'indirizzo della seconda casa. (Sì, si può. Ma funziona molto meglio se siete svizzeri). Questi qui invece trovano degno di nota il fatto che uno che va al mare abbia in borsa il calcolatore portatile. Come se non si chiamasse, appunto, "portatile". Come se non fosse uno strumento di gioco, un sostituto della guida del telefono e del telefono fisso, un marchingegno per consultare le previsioni del tempo e altre mille cose che si fanno anche in vacanza.
Voi mi direte: non curarti di loro, guarda (gli apparati da allattamento, presumibilmente, altro di degno tra quelle due copertine non si trova) e passa. Oppure: non combattere battaglie di retroguardia. Scusatemi, non ce la faccio: quando trasecolo e mi indigno io non mi trattengo. E, visto che sarò certo candidato al posto di capo del mondo non appena si terranno le relative elezioni, vi propongo una nuova rivoluzione culturale. Mao Zedong non ce l'ha fatta, pensiamoci noi. Si fa una bella legge per cui il giornalista che scrive di cose che non sa è viene beccato in flagrante è tenuto (orrore!) a perdere una settimana di tempo suo, non remunerato, a informarsi, segue esamino. E se scrive falsità, o verità solo parziali, per far contento l'inserzionista o l'editore o il partito politico di riferimento? A casa, cambi mestiere, vada a lavorare in una porcilaia ché ce n'è tanto bisogno.
Ho altre leggi di questo tipo, in testa: per esempio, avete presente quei ragazzetti e ragazzette che si vedono sui manifesti di profumi e alta moda. efebici e con lo sguardo perso nel nulla? Ecco, io promulgherei una legge per cui fare il modello per una campagna pubblicitaria del genere è perfettamente lecito e consentito, però poi sei tenuto a zappare nelle risaie per un anno. Così, tanto per capire esattamente come funziona il mondo.
In settembre, Google ha presentato un programma per navigare il web chiamato Chrome, per ora solo per Windows, presto anche Mac. Tecnologicamente assomiglia a Safari. E giù fiumi d'inchiostro per spiegare che Google sta facendo un dispetto a Microsoft, senza però che nessuno, dal Wall Street Journal giù giù giù sino al Giornale si ponga un dubbiettino, una domanda: ma cosa mai gliene fregherà a quelli di Google di fare un browser spendendo tutti quei soldi che è costato lo sviluppo? I browser non si vendono, non ci si guadagna.
Microsoft fa Explorer perché a Windows serve un browser, il più basilare possibile in modo che la gente continui a comprare software Microsoft per le sue esigenze e usi il web solo per consultare informazioni risiedenti su server (preferibilmente Microsoft). Ad Adobe serve che certe cose le sappia fare solo Flash, in modo che quanti più webdesigner possibile acquistino la CS4. Google ha interessi opposti: a loro invece serve che esista un browser potente, moderno, che faccia girare al meglio le quasi-applicazioni per il web che loro sviluppano: le Google Apps, YouTube, Google Maps eccetera. La cosa che darebbe loro maggior gioia sarebbe di veder schiattare Flash e rimpiazzare Explorer sulla scrivania della gente con altri programmi più completi, veloci e rispettosi degli standard moderni.
E la casa di Steve Jobs? Apple realizza Safari perché ha bisogno di controllare un browser completo ma piccolo e veloce da infilare nell'iPhone e da sfruttare con Dashboard. Banale, Watson, banale.
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Luca Accomazzi scrive di Mac dal 1984 si guadagna il pane sul web e lancia le sue proposte di legge su www.se-divento.il.capo.it
Originariamente pubblicato in data 11/02/2009