L’ultima settimana di giugno 2005 ha visto una serie di blackout in Svizzera: alla rete ferroviaria, alla TV via cavo, all’elettricità. Il mio commento
Chi lo spiega a un mucchio di cittadini, giustamente indignati dopo essere rimasti chiusi per quattro ore dentro una carrozza ferroviaria arroventata dal sole di una estate, che qualsiasi tecnologia può fallire sotto certe circostanze sfortunate?
È abbastanza evidente che ogni apparecchio al mondo può guastarsi, ma tutti noi siamo giustamente abituati a prendere per garantita l'erogazione di alcuni servizi fondamentali come l'acqua potabile o, appunto, l'energia elettrica. E, in tempi più recenti, anche la linea telefonica e magari il collegamento a Internet. Gli ingegneri a cui viene chiesto di rendere "a prova di bomba" un servizio tipicamente reagiscono attraverso un uso oculato della ridondanza. Per esempio, chi scrive ha recentemente realizzato un sistema di telemedicina per la cura degli emofiliaci, che deve garantire tempi praticamente istantanei di risposta nel 99,999% dei casi. In sostanza questo significa, calcolatrice alla mano, che non c'è neppure lo spazio per rendere irraggiungibile il calcolatore centrale per la manciata di secondi necessari a riavviarlo una volta all'anno. Quindi i calcolatori sono due, e gemelli, configurati identicamente e predisposti in modo che se uno per qualsiasi motivo smette di rispondere allora istantaneamente l'altro gli si sostituisce, in modo trasparente per gli utenti.
Se questo è possibile (e lo è) viene da chiedersi come sia possibile che un semplice cavo reciso a Zurigo metta Cablecom in ginocchio: la risposta è che alcuni servizi possono venire ridondati solo con gran difficoltà. Nel 1998 l'intera California settentrionale si ritrovò completamente sconnessa da Internet perché l'operatore di una ruspa, occupato ad allargare un tunnel, aveva inavvertitamente reciso un fascio di fibre ottiche. I direttori tecnici di un gran numero di imprese della Silicon Valley si strapparono i capelli a ciocche e frugarono disperati i contratti che avevano stipulato con due o tre differenti compagnie telefoniche e di telecomunicazioni proprio per assicurarsi contro una eventualità del genere: ma scoprirono soltanto a giochi fatti che, per convenienza, tutte le compagnie rivali avevano fatto passare le proprie trasmissioni attraverso quel fascio di fibre.
L'energia elettrica è un caso particolarmente complesso: una tecnologia intricata (persino alcuni ingegneri non sapranno dirvi cosa sono e a cosa servano le palline colorate che si vedono appese ai cavi dell'alta tensione) i cui frutti vengono venduti a prezzo politico, perché è una materia prima fondamentale per qualsiasi lavorazione industriale e il suo costo ha conseguenze dirette su quelle di quasi ogni merce. Quando una impresa opera in perdita o tendendo al pareggio, però, tende naturalmente a risparmiare sul risparmiabile e non è certo invogliata a rinnovare i macchinari e adottare le più recenti tecnologie non appena sono disponibili. A volte poi non è neppure solo questione di denaro, ma anche di volontà popolare. Due anni fa l'intera Italia rimase al buio per la maggior parte di una domenica perché un albero caduto in Svizzera aveva impedito il rifornimento di alta tensione che lo Stivale acquista dall'Elvezia e dalla Francia, dopo aver deciso per referendum di non produrne internamente. A ben pensarci, la cosa poi non ha molto senso — il disastro di Chernobyl ha insegnato che un incidente nucleare provoca ricadute di radioattività a migliaia di chilometri di distanza. Aggiungete che la produzione italica di elettricità sarebbe sufficiente a garantire il rifornimento di domenica, ma la produzione nucleare è tanto più efficace che all'Italia conviene spegnere le sue centrali e approvvigionarsi dall'estero, e così la penisola è stata sorpresa da un blackout ancora peggiore di quello di mercoledì scorso.
Originariamente pubblicato in data 01/07/2005